Siamo entrati nel cuore di HARG: il luogo dove nascono le idee e vengono creati tutti i prodotti. A guidarci lungo questo percorso, il Direttore Ricerca e Sviluppo Antonio Romano.
Saper innovare – con lo scopo di migliorare la propria offerta di prodotti o servizi andando incontro alle esigenze del mercato e rimanendo competitivi – è un obiettivo in cima alle priorità della maggior parte delle imprese, qualunque sia il settore in cui si trovino a operare.
Per una start up innovativa, però, è qualcosa di scritto nel Dna stesso dell’azienda, che definisce ogni scelta e orienta il progetto di crescita.
Nel caso di HARG, il concetto di innovazione si fonde con l’impegno in campo sociale, traducendosi nello studio di soluzioni capaci di portare un cambiamento positivo nella vita di tante persone.
Antonio Romano, Direttore del reparto Ricerca & Sviluppo, ci parla degli obiettivi scientifici e del metodo alla base del lavoro dell’impresa.
Qual è il ruolo e il peso della ricerca in HARG?
“Potremmo dire che si tratta di un approccio più che di un obiettivo: applicare il metodo scientifico a tutto quello che facciamo. Abbiamo iniziato dalle cose più semplici, come le acque gelificate, per poi ampliare la gamma di prodotti anche all’alimentazione, ma è stato un percorso marcato da step ben precisi. Da brava start up innovativa abbiamo puntato da subito a un miglioramento continuo di prodotti e tecnologie produttive, ma parallelamente si sono anche voluti misurare gli effetti delle nostre soluzioni sullo stato di salute delle persone. Insieme all’Università di Genova, abbiamo quindi avviato uno studio osservazionale su un campione di pazienti residenti in case di cura affetti da disfagia di vario tipo e gravità, per valutare l’evoluzione di numerosi parametri, sia immediatamente misurabili come peso, andamento delle piaghe da decubito e numero di clisteri, sia di parametri ematici relativi allo stato nutrizionale, per misurare l’impatto della nostra alimentazione nel tempo. I risultati hanno validato le nostre aspettative a conferma dell’efficacia dei nostri preparati, consentendoci così di continuare in questa direzione. Questo è un esempio di come funziona il nostro lavoro: ogni prodotto sviluppato deve superare i test ed essere validato prima di entrare a far parte delle nostre linee. ‘Ricerca’ per noi è il processo nel suo intero”.
Come si svolge la collaborazione con l’Università di Genova?
“Con il Dissal (Dipartimento di Scienze della Salute) la collaborazione è iniziata quando è nata HARG, quindi ci consideriamo un po’ come un’unica équipe scientifica. Tra noi c’è un confronto quasi quotidiano, in particolare con la Prof.ssa Annamaria Bagnasco e il Prof. Mirko Zanini, che ci aiutano a tenerci aggiornati sugli ultimi studi relativi alla disfagia e alla gestione del paziente, spaziando anche altri disturbi, oltre a fornirci spunti importanti sugli aspetti organolettici dei nutrienti. Successivamente, il loro panel di nutrizionisti e logopedisti si occupa di verificare che i prodotti siano equilibrati dal punto di vista nutritivo e della giusta consistenza, idonei quindi a soggetti con difficoltà di deglutizione. Infine, è proprio il Dissal a occuparsi dell’analisi dei dati provenienti dalle case di cura attraverso la piattaforma WeanCare”.
Che cos’è WeanCare?
“Si tratta di un progetto iniziato nel 2018 e che ha coinvolto più di 200 pazienti di strutture residenziali, alimentati con un menu personalizzato a base di prodotti DYSPHAMEAL. Come dicevo in precedenza, abbiamo la necessità e il dovere scientifico di conoscere gli effetti clinico-assistenziali delle nostre soluzioni, e questo si può fare solo raccogliendo i dati antropometrici, biochimici, nutrizionali e funzionali. Ogni sei mesi stiliamo un report che misura l’impatto sui pazienti, e grazie alla disponibilità di tantissime Rsa italiane il campione continua a crescere, andando a rafforzare la valenza statistica del dato. Nel luglio dello scorso anno i risultati sono anche stati pubblicati dal Journal of Nursing Management, una rivista scientifica autorevole e di importante impatto nel mondo infermieristico e della gestione delle cure assistenziali”.
Cosa dicono i numeri?
“Parliamo di un incremento di circa il 10% dei livelli di albumina (segno di un’alimentazione corretta e di un’adeguata assimilazione dei nutrienti), di un aumento consistente della componente linfocitaria (legata alle difese immunitarie) e di un miglioramento del profilo lipidico (con trigliceridi e colesterolo che si regolarizzano). A questo si aggiunge un crollo del 70% dei clisteri effettuati mensilmente e una diminuzione significativa dei comportamenti ostativi al pasto. Come si può capire chiaramente, si tratta di benefici importanti sul piano fisico, ma anche di un notevole miglioramento a livello di qualità della vita”.
Come siete riusciti a ottenere questi risultati?
“Bisogna cercare di considerare sempre più aspetti contemporaneamente, senza trascurare nessun lato del problema. Sebbene molti dei nostri sforzi si concentrino su parte clinica e materie prime, altrettanto impegno viene dedicato alla componente sensoriale. Profumi, sapori e colori sono fondamentali e spesso i pazienti disfagici sono soggetti che hanno perso completamente l’amore per il cibo. È per questo che proponiamo così tanti gusti differenti, con scelte talvolta particolari come il cotechino o il panettone, per esempio. Il pasto è un momento chiave della giornata e della vita delle persone, e il nostro obiettivo è rendere questa esperienza migliore possibile. Inoltre, le caratteristiche organolettiche sono studiate per stimolare l’appetito e il gusto di pazienti compromessi come nel caso di chi soffre di Alzheimer e magari non riesce più nemmeno a riconoscere un piatto, ma attirato da stimoli sensoriali può essere alimentato con facilità. Nutrire con gusto: questa è la nostra filosofia.”.
Quali sono i prossimi passi a livello di ricerca?
“La nostra è una tipologia di alimentazione multifunzionale: non offriamo supplementazione ma nutrizione, basata su prodotti bilanciati e adatti non solo a soggetti affetti da patologie cliniche, ma anche per esempio a chi pratica sport, in sostituzione delle classiche barrette energetiche. Nello sviluppo delle nuove ricette stiamo ovviamente tenendo conto di tutte le possibili applicazioni, ma come società benefit al centro metteremo sempre la persona, la sua fragilità e le sue necessità. Non c’è nulla di più motivante di sapere che con il nostro lavoro possiamo migliorare la vita di milioni di persone nel mondo. E a questo non vogliamo rinunciare”.